Un cambio di paradigma dello sviluppo, al cui centro non ci sia più la crescita economica a tutti i costi, bensì il benessere dell’uomo e dell’ambiente
L’attuale modello di sviluppo, che nel corso del tempo ha raggiunto livelli di produzione e di consumo mai visti prima, mostra ormai i segni del declino. Una civiltà interamente concepita per la crescita si trova paradossalmente senza crescita e si scontra con i limiti della Terra. Su un pianeta dalle risorse finite, infatti, la crescita del Pil e dei consumi non può essere infinita. Da questa evidenza nasce la necessità di un’alternativa, che alcuni identificano con la decrescita.
Questo termine appare per la prima volta nel 1979 negli scritti dell’economista rumeno Nicholas Georgescu-Roegen, sostenitore di un’economia ecologicamente e socialmente sostenibile. Vent’anni dopo la decrescita diviene celebre grazie a Serge Latouche, anch’egli economista e filosofo, che aggiunge l’attributo felice. Tuttavia, i concetti che si trovano alla base del pensiero della decrescita non sono del tutto nuovi. Le loro radici, infatti, affondano nelle idee di illustri personaggi del passato tra cui Henry David Thoreau, Lev Tolstoj e Gandhi.
Ma in che cosa consiste esattamente la decrescita? Prima di tutto si basa sulla riduzione controllata, selettiva e volontaria della produzione economica e dei consumi. Recessione, quindi? Assolutamente no. La recessione è una discesa senza controllo in cui si riducono le risorse anche per settori fondamentali come l’istruzione e la sanità. Decrescere, invece, significa smettere di investire risorse nella produzione di beni e servizi non necessari. Un decremento selettivo del Pil che permetterebbe di investire maggiormente sulle innovazioni tecnologiche per ridurre inquinamento, rifiuti e sprechi. Maurizio Pallante e Andrea Bertaglio, sostenitori della decrescita felice, spiegano questa cruciale differenza attraverso una metafora singolare. La recessione è come morire di fame perché non si ha cibo, mentre la decrescita è come mettersi a dieta perché in sovrappeso. In entrambe le situazioni si mangia meno, ma per ragioni diverse.
A livello individuale la decrescita si traduce in semplicità volontaria, ovvero una vita basata più sulle relazioni sociali, sul tempo libero, sulla solidarietà e meno sulla pulsione consumistica. Per far ciò occorre rimodellare la concezione attuale delle distanze e del tempo. A tal proposito, Serge Latouche sostiene che si debba ripristinare un rapporto sano con il tempo, ovvero:
imparare nuovamente ad abitare il mondo, e quindi, affrancarsi dalla dipendenza del lavoro per ritrovare la lentezza, riscoprire i sapori della vita legata ai territori, alla prossimità e al prossimo. In tutto questo non c’è tanto un ritorno a un mitico passato perduto, quanto l’invenzione di una tradizione rinnovata.
Si può dire, quindi, che la decrescita rappresenta un modo diverso di relazionarci con il mondo. Una rottura con le nostre abitudini che può apparire radicale, ma necessaria. Un cambiamento nel sistema dei valori che investe di più sulla qualità piuttosto che sulla quantità, sulle persone piuttosto che sulle cose.
Per saperne di più:
A come Agroecologia
B come Biodiversità
C come Cambiamento climatico
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